EPISODIO 3 DEL MIO PODCAST AMORE LIBERO
— Se preferisci, puoi ascoltare il mio podcast qui. Altrimenti, buona lettura!
Apro questo terzo episodio con una domanda rivolta a te personalmente, dopo aver letto l’episodio precedente (dai, dimmi che l’hai letto!).
Sei riuscito, sei riuscita a mettere in pratica alcuni, se non tutti i punti che avevamo elencato per amare sé stessi? E se l’hai fatto, Senti ora di amare di più la tua persona? Bene, allora sappi che quegli 8 punti potrebbero effettivamente non essere sufficienti. Dato che sono una faccia della medaglia che può aiutarci ad amare noi stessi. E in questo episodio esploriamo la seconda faccia.
Partirò parlando di me, del mio passato, di quando qualche anno fa correvo come velocista, come sprinter per i 100 e 200 metri. Adesso dico qualche anno fa, ma in realtà sono passati molti anni… ormai sono diventato una tartaruga.
A quel tempo seguivo una lista di pratiche, di azioni per migliorare la mia velocità, la mia performance in gara, poter battere i miei record e gli avversari. Indossavo le scarpe adatte, mi allenavo quattro volte alla settimana, facevo esercizi in palestra una volta alla settimana, mi studiavo la posizione ai blocchi di partenza, cercavo di aumentare la reattività del mio corpo al suono dello sparo di inizio. Insomma, mi preparavo così tanto per mesi, poi arrivavo in gara, mi posizionavo alla partenza, e ottenevo risultati molto peggio rispetto a quelli di allenamento. Come mai?
Perché dimenticavo completamente la componente mentale, che gioca un ruolo determinante nelle attività competitive a livello sportivo. E se sei una persona che gareggia lo sai, soprattutto quando si tratta di centesimi e decimi di secondo, come in questo caso. Avrei quindi dovuto sviluppare e allenare anche la concentrazione in gara, lo spirito che ti fa rimanere in focus anche quando sei circondato da centinaia di persone (cosa che in allenamento non capitava ovviamente), la gestione delle emozioni in gara, il controllo dell’ansia da performance. E quindi questo ci può far capire che allo stesso modo, seguendo gli 8 punti elencati nell’episodio precedente, possiamo aiutarci a conoscerci meglio, ad accettarci meglio, a prenderci più cura di noi stessi. Ma è fondamentale curare anche l’altra faccia della medaglia, non dimenticarsi di diminuire l’influenza degli ostacoli. Non solo quindi di aggiungere informazioni, abilità, azioni, ma anche di consapevolizzare i motivi e di levarci di torno tutto ciò che ci ostacola dall’amare noi stessi. Altrimenti sarebbe come essersi allenati per mesi per scalare una montagna, averla studiata nei minimi dettagli, il percorso, il modo per farlo, l’andatura, e poi però camminare con uno zaino di 20 kg sulle spalle pieno di cianfrusaglie delle quali non ci facciamo assolutamente nulla.
E qui quindi arriviamo al punto focale di questo episodio, come lasciare andare l’odio per noi stessi? Cosa ci impedisce di amarci davvero?
Come quasi tutto ciò che riguarda il dolore e l’odio, dobbiamo saper guardare un po’ indietro. Spesso l’odio di sé deriva dal modo in cui siamo stati trattati in passato. La mancanza di affetto o di riconoscimento ci fa sentire indegni anche dell’amore. Tutti abbiamo, chi più chi meno, accettato che gli altri ci dicessero quanto valiamo e quanto siamo meritevoli di amore. E queste idee che partivano dall’esterno, dagli altri, le abbiamo piano piano introiettate e fatte nostre. Quindi come uscire da ciò? Prima di tutto rendendosene conto; e poi capendo che l’unica persona nell’universo che può veramente intaccare la nostra autostima e quello che pensiamo di noi siamo noi stessi. E quindi l’amore per noi stessi non dovrebbe in nessun modo essere in contatto o influenzato dall’odio o dall’amore che riceviamo dagli altri.
Crea in questo senso come due vasi non comunicanti, in cui in uno inserisci l’amore per te stessa, per te stesso, e l’altro avrà ruolo di accogliere invece l’amore che ricevi dagli altri. Se nel secondo vaso rivolto verso l’esterno dovessi ricevere odio, questo non andrà a intaccare in nessun modo il vaso dove contieni l’amore per te stessa, per te stesso, cioè un amore che coltivi in prima persona e a cui nessun altro può avere veramente accesso, a meno che tu glielo conceda. Ed è proprio qui il punto: concediamo spesso al secondo vaso di poter comunicare con il primo. Separiamo invece le due cose. Creiamo una distinzione netta, precisa. Conosco me stessa, amo me stesso. Non costruisco un muro di indifferenza verso gli altri e quello che mi dedicano. Tuttavia sto bene accorto che questo non influenzi la mia sfera più interna.
E poi esiste l’effetto spotlight. Forse ne hai sentito parlare. Si tratta di quell’effetto per il quale, come dice il nome, ci sentiamo spesso sotto a un riflettore, come se fossimo al centro della scena. Immagina quando sei in palestra o quando sei a una cena di gruppo, stai facendo jogging per strada o anche semplicemente ad una conferenza seduto tra la folla. In queste situazioni siamo inclini a sopravvalutare il grado di attenzione o di giudizio che le altre persone rivolgono nel nostro aspetto fisico, nel nostro comportamento, e quindi tendiamo a dare più adito all’autocritica e all’auto-giudizio, mettendo in luce sotto un riflettore tutte le imperfezioni che pensiamo di possedere. Ma la cosa interessante è che ognuno di noi pensa di essere al centro dell’attenzione e quindi alla fine si crea un fenomeno curioso per il quale nessuno sta giudicando veramente gli altri intorno a sé, quanto giudicando soltanto se stesso, pensando di essere esposto a qualsiasi critica o possibile giudizio altrui. E sull’effetto spotlight venne condotto un esperimento alla Cornell University degli Stati Uniti, che consisteva nel chiedere ad un gruppo di partecipanti di indossare per un giorno una maglietta ritenuta da loro imbarazzante e calcolare il numero di persone che a loro avviso avevano notato quell’indumento ridicolo. Successivamente si fece un sondaggio anche tra gli osservatori, in modo da verificare l’effettivo livello di accuratezza delle risposte dei partecipanti. Come puoi immaginare, molti dei partecipanti si sbagliarono clamorosamente, sovrastimando abbondantemente il numero di osservatori che secondo loro li avevano notati con indosso quella maglietta bizzarra. Questo confermò l’effetto spotlight: la percezione che abbiamo di noi stessi, che può essere notevolmente dissimile rispetto a quella che gli altri hanno realmente di noi.
Ma in fin dei conti, parliamoci chiaro. Da dove proviene tutta questa paura, a cui l’effetto spotlight si aggancia così bene? Deriva da una sottostante auto-disistima, quindi dal ritenere di possedere imperfezioni potenzialmente non accettabili o dal poter, da un momento all’altro, compiere comportamenti ambigui, imbarazzanti motivi di scherno. Ma se continueremo a dare nutrimento a questi pensieri di disistima nei nostri confronti, magari conditi anche da uno o due episodi nei quali ci siamo sentiti effettivamente derisi dagli altri, rischieremo di andare proprio a coltivare l’odio per noi stessi. E di questo si tratta: l’idea che in alcune circostanze non siamo abbastanza in quanto tali. L’idea che non siamo bravi a prescindere, che non siamo belli a prescindere, che non siamo capaci a prescindere, e che non ci possiamo fare niente, perché questo abbiamo coltivato nel tempo dentro di noi. Ecco, è arrivato il momento di gettare dalla finestra tutto questo. Noi siamo prima di tutto bravi se ci vediamo bravi, siamo prima di tutto belli se ci vediamo belli. E siamo capaci se ci applichiamo senza autosabotarci in principio. Ricorda i due vasi comunicanti di cui parlavamo prima: un’idea altrui non è automaticamente una critica, e anche nel caso in cui dovesse esserla, rimane nel secondo vaso, non nel primo, quello dove nutriamo la nostra autostima, dove conosciamo noi stessi e ci amiamo in quanto tali, e non per gli sbagli che commettiamo o per le cose buone che facciamo. Quindi, anche quando ci vengono in mente pensieri autosabotanti che come detto hanno le radici nel nostro passato o in qualcosa che abbiamo percepito dall’esterno, abituiamoci a mettere questi pensieri nel secondo vaso. A percepire che questi pensieri non intaccano in alcun modo noi stessi, la nostra autostima, ma sono una percezione soggettiva esterna a noi, che quindi inseriamo nel secondo vaso come se provenisse da un’altra persona. Ciò però non significa sopprimere il pensiero autosabotante. Questo spesso non funziona, anzi si verifica l’effetto rimbalzo tale da incrementare la presenza del pensiero stesso. Consiglio semplicemente di guardare il pensiero, di accettarlo, di non colpevolizzare noi stessi per averlo generato. Semplicemente prenderlo e inserirlo in questo metaforico secondo vaso, che nel concreto si traduce col considerare che quel pensiero autosabotante proviene da una realtà esterna a noi che non fa parte di noi, e che impediamo stabilisca il nostro valore intrinseco e l’amore che proviamo per noi stessi.
E per concludere questo episodio, ormai siamo alla fine, credo sia importante ricordare che siamo tutti depositari di imperfezioni: io, te, tutti. Dobbiamo stare attenti che queste imperfezioni non ci impediscano di amarci. E lo dico anche per gli individui che hanno da lavorare con l’iper-perfezionismo; uno di questi è l’autore dell’articolo che stai leggendo. Dunque mettiamoci un po’ a nudo, perché quelle che vengono ritenute imperfezioni dagli altri o da noi stessi sono in realtà le caratteristiche che ci differenziano dalla massa, dall’omologazione, ed è bene che emergano perché ci rendono unici, perché ci rendono diseguali dagli altri e ci aiutano a esprimere i nostri talenti. Potremmo pure stupirci che una di quelle considerate “imperfezioni”, o comportamenti potenzialmente imbarazzanti, possono in realtà aprirci la porta verso una conoscenza migliore di noi stessi e verso l’attrazione di persone che siano più coerenti con ciò che veramente siamo, e non con le maschere di omologazione societaria che ci imponiamo spesso di indossare.
Dunque ti lascio augurandoti di mettere un po’ a nudo quello che ritieni potenzialmente scomodo, potenzialmente imbarazzante, e iniziare a farne esperienza; inserendo sia i pensieri autosabotanti sia le autocritiche, gli auto-giudizi del tuo giudice interiore e qualsiasi cosa che ricevi dall’esterno nel secondo dei vasi di cui parlavamo.
Ci sentiamo al prossimo episodio.
Grazie.
- Categoria: Podcast Amore Libero
- Tag: mia esperienza, relazioni
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Ti auguro serenità e chiarezza interiore. A presto!
Nicolas Barilari