EPISODIO 6 DEL MIO PODCAST AMORE LIBERO
— Se preferisci, puoi ascoltare il mio podcast qui. Altrimenti, buona lettura!
Se nel 2024, a Febbraio, tu avessi potuto sorvolare l’Australia, focalizzarti sulla costa orientale, fare zoom su una piccola cittadina di 4000 abitanti chiamata Bellingen, sulla zona settentrionale del nuovo Galles del Sud (un’area immersa nel verde circondata da un lato dall’oceano e dall’altro dalle campagne australiane). E se poi tu avessi posto attenzione ad una delle case a nord del fiume che taglia in due la città. E poi fossi potuto entrare attraverso la finestra di una delle stanze di questa casa, avresti visto me sul letto seduto: le gambe incrociate, gli occhi chiusi, assorto. Mi avresti visto espirare portando il mento verso l’alto e poi mi avresti visto muovere le labbra e compiere dei gesti con le mani apparentemente incomprensibili. Ecco, in questa puntata parliamo proprio di questo.
Sì, ero in Australia a Febbraio del 2024 e stavo attraversando un periodo particolarmente doloroso a livello sentimentale. Ed è stato il primo periodo della mia vita in cui ho approcciato la meditazione utilizzandola come strumento di guarigione. In quel momento della mia vita ho sperimentato sulla mia pelle, per la prima volta, ciò che avevo soltanto letto sui libri precedentemente: la differenza tra dolore e sofferenza. Il primo arriva, è inevitabile, è fisiologico. La seconda, invece, la sofferenza, ho imparato che è una scelta. Ho capito che la sofferenza in me nasceva dal soffermarsi sul dolore cercando di capirlo razionalmente, cercando di estinguerlo, cercando di cambiarlo, insomma forzando il dolore in una piuttosto che nell’altra direzione.
Il dolore arrivava senza chiedere il permesso. Nella sofferenza, invece, ci nuotavo io coscientemente, ero io ad avere il controllo, ero io a scegliere di voler pensare determinate cose andando a ribaltare il passato, immaginandomi per esempio in veste diversa, a fare scelte che non avevo fatto. Magari con la consapevolezza presente mi proiettavo in vicende passate, cercando di cambiarle, di dare finalmente un finale positivo a tutta la storia che avevo trascorso con la mia ex compagna, o immaginarla diversa, come io avrei desiderato. Oppure passavo intere ore a immaginare scenari futuri, dove avrei potuto finalmente costruire qualcosa che tuttavia era del tutto fuori dal mio controllo e da qualsiasi tipo di previsione.
Poi tornavo nel passato a criticarmi per azioni compiute o a criticare lei per torti ingiusti subiti. Insomma, la mia mente era piena di “se”, di “ma”, di ipotesi, di proiezioni sull’onda del “devo capire”, “devo pensarci meglio”, “devo trovare una soluzione a questo dolore”. Ma nel mentre non stavo facendo altro che soffrire. La sofferenza, che in questo caso era una mia scelta, stava facendo da megafono ad un dolore naturale, fisiologico che, ho imparato da questa esperienza, che non ha alcun motivo di essere risolto o cambiato o estinto prima del suo naturale decorso.
Ci sono cose che non puoi controllare, per esempio il dolore. E invece ci sono altre che puoi controllare: focalizzati su quelle. Focalizzati sul non nutrire la sofferenza.
E ricorda che il dolore è energia. Il dolore arriva perché ti chiede di evolvere. Guardalo, osservalo, accoglilo, usalo come spinta per guarire. E non dimenticare che la guarigione richiede tempo. Il modo in cui viviamo una rottura, una separazione sentimentale, segue a livello psicologico lo stesso processo del lutto: può richiedere molti mesi, addirittura più di un anno. Quindi sii gentile con te stessa, con te stesso, datti il tempo per rinascere. E ricorda che non sei guarita/o quando non pensi più a lei o a lui, ma quando il pensarci non ti provoca più dolore; quando cioè non senti più nessun tipo di attrito nell’immaginarla felice, o nell’immaginarlo con un’altra persona al fianco.
Dunque non provare a sfuggire dal dolore, il dolore è naturale parte della vita. Allenati a sfuggire dalla sofferenza invece, da tutte quelle sovrastrutture che crei successivamente sopra il dolore, che lo amplificano, che cercano di risolverlo, di cambiarlo, di ingannarlo, sviarlo, non accettarlo. Fatti un regalo grande: accetta, e consapevolizza l’impermanenza della vita (quindi anche delle relazioni). Cosa intendo con “essere consapevoli dell’impermanenza”? Intendo rendersi conto e accettare con benevolenza che tutto cambia, che nulla nella vita è costante. Noi siamo esseri dinamici, cambiamo nel corso del tempo, sia superficialmente che in profondità. Anche a livello valoriale, in maniera più graduale e lenta, ma cambiamo. Il “me” del passato non è uguale al “me” del presente. Il “me” del futuro non sarà uguale a quello che sono ora. Questo è rincuorante perché ci dà la possibilità di evolvere e di diventare persone migliori rispetto a quelle che siamo state e a quelle che siamo. Tutto ciò ci fa un grande regalo, ma il resto dobbiamo mettercelo noi, nell’accettare questa condizione anche per le dinamiche che non vorremmo cambiassero: per esempio in relazioni d’amore che ci sembrano perfette e vorremmo durassero per l’eternità. Ecco, essere coscienti che tutto può avere una fine, come tutto ha avuto un inizio, è fondamentale per essere liberi e per lasciare liberi gli altri. Il cambiamento è l’unica costante della vita. Bisogna fluire con esso, come di un fiume che, nonostante sia sempre fiume, si ricrea ogni secondo di acqua diversa.
Come si colloca la meditazione in tutto questo? La meditazione ti chiede di stare nel momento presente, come sei ora, ti insegna l’importanza dell’unico momento che è sotto il tuo controllo: adesso. Ti allena a contattare le tue parti profonde, quindi anche il nucleo del dolore che stai sentendo, lasciando andare un passo alla volta la sofferenza e le sovrastrutture che lo coprono. Pensa al “presente” come a un cono di luce che ti illumina dall’alto mentre ti trovi in una stanza enorme completamente buia. Ecco, quel cono di luce rappresenta l’unica parte che puoi osservare e vivere attraverso la meditazione. Tutto il resto è buio.
Immaginati ora di essere un equilibrista. Stai camminando su un filo e hai le braccia tese, l’una verso destra l’altra verso sinistra. Immagina che il filo ai tuoi piedi sia il momento presente, ciò su cui poggi il peso. Il braccio sinistro invece tenda verso il passato e il braccio destro verso il futuro. Ecco, questa è la dinamica che si crea quando si medita: le braccia tese verso il passato e il futuro ci sono, ma non si aggrappano ad essi. Quindi abbi coscienza dei momenti passati, e una visione del futuro, ma vivi ancorato con i piedi nel presente.
Mi viene in mente una frase che ho letto poco tempo fa riguardo al passato che diceva: “Immagina di leggere un libro in cui non ti sia consentito tornare indietro a rileggere le pagine già lette. Ecco, con quale attenzione a questo punto leggeresti la pagina in cui ti trovi ora? Quel libro è esattamente come la vita, se ci pensi.”. Dunque, il passato è qualcosa a cui non puoi veramente tornare, ma puoi gestire le influenze che esso ha nel presente, e in questo la meditazione può esserti di aiuto. Il futuro è invece un sistema caotico, pieno di variabili che non possiamo in alcun modo gestire. A volte abbiamo in mente un piano riguardo un possibile avvenimento, ma basta una piccola variazione infinitesimale per cambiare completamente il corso dei fatti.
Come utilizzare quindi la meditazione come uno strumento di guarigione? Abbiamo detto di calarsi nel presente prima di tutto. Di contattare il nucleo del dolore, come dice anche lo psicologo Raffaele Morelli: stare nel presente, sentire il dolore, non fuggirlo, accettarlo come parte stessa della cura, starci e basta, senza creare sofferenze, manie di controllo del passato e del futuro che non fanno altro che creare attrito e riaprire ferite che stavano naturalmente, gradualmente, guarendosi. Ci sono sicuramente infiniti modi per vivere il proprio dolore durante la meditazione e ti esorto a trovare il tuo personale. Però vorrei raccontarti il mio, quello che ho vissuto in Australia. Ho praticato una meditazione nella quale ho utilizzato sia un mantra (che significa una frase ripetuta), sia un gesto con le mani (una specie di mudra, anche se per “mudra” originariamente si intende un segno statico con le mani, mentre in questo caso mi sono sentito naturalmente portato a eseguire un gesto), e infine una visualizzazione. Ho utilizzato queste tre cose in Australia quando meditavo sul mio dolore.
Il mantra che avevo deciso di utilizzare era “lascia andare”. Ogni tanto con le sue modifiche del caso: “lasciala andare” o “lasciare andare”. E lo ripetevo dentro di me e alle volte anche verbalmente e fisicamente.
Il gesto che compivo con le mani, invece partiva da una posizione di preghiera con le mani giunte, subito sotto lo sterno, e poi seguiva una linea immaginaria che si allontanava da me mentre aprivo le mani coi palmi lontani da me, come volessi lasciare andare qualcosa che partiva da dentro il mio petto. L’insieme del mantra con questo gesto che partiva in preghiera dal petto e si apriva, lasciando andare quasi qualcosa di di fisico, creava in me immediatamente un piccolo senso di serenità, e alle volte addirittura un sorriso, nel dolore.
Altre volte invece, utilizzavo una meditazione con visualizzazione, cioè una meditazione in cui mi immagino un’entità, un oggetto, una forma. Durante la meditazione, a occhi chiusi, inspiravo profondamente, tenevo l’aria dentro di me per un po’, poi alzavo il mento e la lasciavo andare espirando. Durante questo passaggio visualizzavo immaginandomi un’aria bianca entrarmi dentro durante l’inspirazione e un’aria nera o grigia uscire verso l’alto durante l’espirazione. La visualizzavo quasi come una nuvola, quasi come fumo: bianco, che entrando mi guariva, e nero, che a simboleggiare ciò di cui dovevo liberarmi usciva durante l’espirazione verso l’alto e se ne andava.
Puoi provare se tutto ciò risuona anche per te oppure sperimentare, come ho fatto io, trovando il tuo personale modo per venire in contatto col tuo dolore. E questo potrebbe anche non richiedere alcun tipo di mantra, mudra o visualizzazione oppure richiederne di più complessi e diversificati. Potresti anche scendere nel tuo luogo sicuro, quel luogo interiore di cui abbiamo parlato nel secondo episodio del podcast, in cui solo tu hai accesso e in cui nemmeno il dolore riesce ad arrivare. Quando il dolore è veramente forte, questo è il luogo (che tu l’abbia immaginato come preferisci, come un tempio greco, come una casa sull’albero, come la casa in cui hai vissuto durante l’infanzia, magari, o qualsiasi altro posto naturale, immaginifico o reale che sia) in cui ci sei solo tu, essenziale, profondo, in cui puoi trovare pace. Senza che niente possa scalfirti o perturbarti.
Poi pensa anche al rilassamento, che passa molto attraverso la respirazione: essa dovrebbe essere dolce, non forzata, e naturale. Questo farà scendere in maniera fisiologica il cortisolo: l’ormone dello stress. Ti renderà più tranquilla, più tranquillo, e ti donerà più calma.
Poi il perdono. “Perdono” come altro strumento di cura importantissimo. Perdonare ciò che è successo, perdonare sé stessi, perdonare gli altri, anche coloro che ci hanno fatto del male. Perdonare non per forza giustificando, ma accettando quello che siamo stati e che sono stati gli altri. Rendendoci conto che siamo adesso, nel presente, chiamati a vivere una nuova storia.
Infine, trovo molto curiosa un’altra dinamica che potresti creare ma che personalmente non ho mai provato finora, che è quella di visualizzare un animale guida, cioè immaginare di camminare di fianco a un animale (che sia tu a sceglierlo) di cui ti fidi e che ti guidi attraverso il dolore, nella percezione dello stesso e verso la guarigione. Quell’animale guida non è altro che un’incarnazione di una parte di te adulta che guida la parte ferita a ritrovare la propria pace.
E poi? La miglior “medicina”, passami il termine, per ogni tipo di guarigione interiore: la gratitudine. Gratitudine di essere vivi, di essere chiamati attraverso il dolore alla crescita, all’evoluzione. Gratitudine di poggiare i piedi sul presente, come abbiamo detto, su un aspetto che possiamo davvero controllare. Gratitudine per il dolore stesso, che nell’atto della nostra osservazione già ci sta curando dall’interno come un disinfettante, che brucia appena si applica sulla ferita ma il cui stesso bruciare è sintomo della disinfezione e pulizia che sta avvenendo.
Ci risentiamo al prossimo episodio.
Ti mando un abbraccio.
Grazie.
- Categoria: Podcast Amore Libero
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Ti auguro serenità e chiarezza interiore. A presto!
Nicolas Barilari